Nel corso della notte Bitcoin è tornato sotto quota 60mila dollari, seppur per un brevissimo lasso di tempo. Il dump, riassorbito nelle ore seguenti, è diretta conseguenza dell’attacco mosso questa notte da Israele all’Iran. La risalita è iniziata qualche ora dopo, sospinta dall’apertura delle negoziazioni in Europa e dalle notizie sulla relativa tenuità dell’attacco. La mossa di Israele, analogamente a quella precedente dell’Iran, sembra volta più a soddisfare necessità di politica interna – non poteva non esserci una risposta all’attacco iraniano – che a danneggiare concretamente lo storico nemico.
Bitcoin recupera ma conferma di non essere un bene rifugio
Il prezzo di Bitcoin (BTC) attualmente viaggia su livelli ($64mila) superiori a quelli immediatamente precedenti al dump ($63mila). Tuttavia, tenendo conto della concatenazione degli eventi, è evidente che la sua dimensione di asset particolarmente rischioso risulti ancor più consolidata di prima. In altre parole, al momento riferirsi a Bitcoin come “bene rifugio” è oggettivamente sbagliato. L’oro – bene rifugio e riserva di valore per eccellenza – che Bitcoin ambisce a sostituire, ha fatto invece l’esatto contrario, salendo mentre arrivavano le notizie dell’attacco e scendendo mentre il mondo realizzava che la situazione non fosse in realtà così preoccupante.
C’è veramente l’Iran dietro il dump crypto del 13 aprile?
Il flash crash avvenuto ieri notte ricorda in molti aspetti quello del 13 e 14 aprile, diretta conseguenza dell’attacco dell’Iran a Israele. Durante quei giorni il mercato delle criptovalute ha dovuto far fronte a liquidazioni per circa un miliardo e mezzo di dollari. Situazioni del genere non si verificavano dal 2022. Opinione diffusa di buona parte della stampa internazionale è che a causare il crollo sia stato proprio l’Iran, prima liquidando e subito dopo shortando enormi somme in BTC. L’ipotesi ha preso piede anche e soprattutto in Italia e figura su alcuni dei più noti quotidiani. Peccato però si tratti di uno scenario enormemente gonfiato, probabilmente più per facilitare il racconto al lettore medio che per chissà quale fine politico-propagandistico.
Bitcoin trainato giù dalle obbligazioni che salgono
A spiegarlo è Quinn Thompson, founder di Lekker Capital, noto hedge fund crypto, nell’ambito di un’intervista a [1] DLNews. “La tesi più diffusa sulle motivazioni alla base degli ultimi movimenti di prezzo di Bitcoin è che sia conseguenza del conflitto tra Israele e Iran. Ma è sbagliato, quella al massimo potrebbe essere stata la scintilla iniziale“. Secondo Thompson, la Federal Reserve e le condizioni del mercato obbligazionario sarebbero i veri responsabili della recente instabilità delle crypto. La Federal Reserve, spiega il founder di Lekker Capital, sta infatti tenendo i tassi di finanziamento federali tra il 5% e il 5,25%, disattendendo le aspettative del mercato, che mesi fa aveva scommesso sui tagli.
Negli USA cresce la paura per una nuova crisi
Ciò ha evidentemente un impatto sul mercato obbligazionario, che inizia a premiare i titoli a breve termine rispetto a quelli a lunga scadenza. Secondo Thompson, questa pressione sarebbe negativa per Bitcoin in quanto implicherebbe meno liquidità nel mercato. Questa scarsa liquidità starebbe a sua volta istillando, soprattutto nelle banche americane, la paura di una crisi simile a quella della scorsa primavera. Di conseguenza BTC, tutt’ora inequivocabilmente un asset 100% risk on, è spesso il primo investimento ad essere sacrificato da parte dei grandi fondi in contesti come quello descritto.
[1] Intervista a Quinn Thompson
Sono un Content Editor che ha scritto oltre 7.000 articoli per magazine e testate giornalistiche. Oggi mi occupo principalmente di cronaca finanziaria, politica e attualità e per Broker-Forex.it scrivo per la sezione news su crypto e Bitcoin.