Secondo un nuovo report sugli NFT pare che gli investitori sono costretti a conservarli non appena la liquidità si esaurisce, configurandoli come uno strumento molto più rischioso delle cripto. Scopriamone le ragioni!
La necessità di liquidità è un dato di fatto a cui tutti gli investitori guardano con apprensione specie in periodi come questi di grave incertezza economica e sociale. A tal proposito le recessioni vanno di pari passo con la pressione deflazionistica che prima colpisce il mercato e poi fa scomparire dalla piazza gli investitori. A quel punto i venditori iniziano a dare via gli asset prima che il crollo dei prezzi annienti completamente il loro valore. Nel fare ciò pensano bene di spostarli in beni rifugio come se fossero una sorta di fondi comuni monetari.
Ed è proprio in questo contesto che pesa la mancanza di liquidità solitamente associata agli asset non fungibili, da qui la presa di coscienza sull’alto rischio dei NFT. Per capire meglio questo fattore di rischio e il modo con cui può influenzare la scelta dei compratori dobbiamo fare il confronto con i BTC. Ebbene se io voglio venderli possiamo farlo tranquillamente in un order book di compratori a vari livelli di prezzo. Se non vendiamo oggi possiamo tornare un altro giorno e usare le sue riserve. Con i token non fungibili (NFT) la situazione cambia perché essi sono unici, quindi abbinare venditori e compratori tra loro è molto più difficile.
Per questa ragione si considerano gli NFT degli strumenti pratici e diretti dal ridotto livello di liquidità rispetto alle valute fungibili che hanno un altro meccanismo. Ecco perché molti collezionisti vogliono poter accumulare proprio per evitare uno scambio sfavorevole sui mercati speculativi. Senza dimenticare che gli NFT vengono scambiati bilateramente su marketplace quindi appare una necessità conservarli quando si esaurisce la liquidità per tutti gli investitori.